Il rapporto con l’emarginazione, la malattia cronica, la depressione mettono l’operatore in forte rischio di Burn-out, per questo una particolare cura va riservata all’operatore coinvolto con gli utenti attraverso attività di formazione, supervisione, collaborazione istituzionale; in questo senso l’assistente sociale, lo psicologo, il sociologo, possono fornire uno strumento utile al superamento del suo disagio, a ridurre un turn-over professionale che è a discapito della qualità dell’intervento.
Gli operatori, dunque, saranno continuamente sostenuti da un supporto psicologico, dato da riunioni periodiche di matrice auto – aiuto, dal monitoraggio, momenti di formazione, ed aggiornamento, strutturati come brevi cicli di incontri con specialisti competenti nelle materie da approfondire. Anche la riunione di nucleo costituisce un importante momento formativo, in quanto dal confronto fra i contributi individuali possono emergere utili soluzioni ai problemi rilevati durante l’attività quotidiana. La sindrome del burn-out è stata identificata come specifica malattia professionale degli operatori: che tuttavia possono essere sintetizzati come segue: la burning-out syndrome è un insieme di sintomi che testimoniano la evenienza di una patologia comportamentale a carico di tutte le professioni ad elevata implicazione relazionale.
Essa si distingue dallo stress, che può eventualmente essere una concausa del burn-out; così come si distingue dalle diverse forme di nevrosi, in quanto disturbo non della personalità ma del ruolo lavorativo. Allo stadio conclamato essa di manifesta attraverso tre categorie di sintomi a volte sequenziali a volte combinati tra loro:
1) comportamenti che testimoniano un forte disinvestimento sul lavoro;
2) eventi autodistruttivi (disturbi di carattere psicosomatico o del comportamento, diminuzione delle difese immunitarie, aumento della propensione agli incidenti, ecc ecc.)
3) comportamenti truttivi diretto all’utente (indifferenza, violenza, crudeltà, spersonalizzazione, ecc ecc.).
La sindrome si presenta in significativa correlazione con la esposizione a utenti con maggior disagio, ruoli di basso prestigio e scarsa formazione professionale. Le cause principali della sindrome indicata sono essenzialmente riconducibili a tre variabili principali, spesso fra loro intrecciate:
1) eccessiva idealizzazione della professione d’aiuto precedente all’entrata nel lavoro;
2) mansione frustrante o inadeguata alle aspettative;
3) organizzazione del lavoro disfunzionale o patologica.
Queste concause evidenziano due nodi principali nelle professioni dell’aiuto, il cui superamento avrebbe la funzione di prevenire e curare il burn-out oltre che dare Qualità ai servizi d’aiuto. La prima è quella del reclutamento, della formazione, della selezione degli operatori. La seconda riguarda la organizzazione del lavoro nei sistemi d’aiuto: azione preventiva rispetto a motivazioni ed aspettative (colloqui e test attitudinali); organizzazione del lavoro d’aiuto (formazione e supervisione permanente, lavoro organizzato con tempi non stressanti); organizzazione dei sistemi d’aiuto (discrezionalità, personalizzazione del rapporto, la integrazione delle competenze, il predominio del risultato); la funzione della gerarchia (diverso modo di interpretare il ruolo gerarchico); funzione dell’équipe (Il lavoro dell’aiuto si svolge di necessità in équipe); funzione del clima (periodica rilevazione del clima dell’organizzazione complessiva e l’intervento per la sua tenuta a livelli soddisfacenti).
Quando a soffrire sono gli operatori sanitari
L’espressione “burn-out” si traduce letteralmente come “bruciato”, “esaurito”. Compare per la prima volta negli anni Trenta nel gergo dell’atletica professionale ed indica il fenomeno per il quale un atleta, dopo alcuni anni di successi, si esaurisce e non è più capace di dare nulla dal punto di vista agonistico. A partire dagli anni Settanta, grazie a Freudenberg, venne introdotto negli Stati Uniti in riferimento all’ambito lavorativo, in relazione agli operatori dei servizi sociali, alle cosiddette “professioni di aiuto”, le helping profession.
Queste categorie di lavoratori, infatti, dopo mesi di impegno e dedizione per gli altri si sentono bruciati, hanno un crollo morale dovuto proprio ad un sovraccarico di stress cronico che deriva dall’interazione con le persone che dovrebbero aiutare (stress occupazionale). Un contributo fondamentale alle ricerche sul burn-out è stato quello di Chistine Maslach che ha esteso i propri studi ad altre categorie professionali come ad esempio avvocati, poliziotti, insegnanti ecc ecc. Maslach ed altri. hanno elaborato successivamente uno strumento di indagine che ancora oggi si rivela quello principalmente utilizzato: il MASLACH BURN OUT INVENTORY.
La sindrome, a livello organizzativo, si manifesta con tre sintomi principali:
1. Esaurimento emotivo: l’individuo si sente completamente sfinito dal punto di vista emozionale, senza più le forze per ricominciare, si percepisce come inutile e cercherà il minimo contatto con la gente.
2. Spersonalizzazione: lo sviluppo dei sentimenti negativi verso gli altri avanza a tal punto da considerare negativamente anche se stesso, iniziando a diventare freddi e indifferenti e provando sensi di colpa per come stanno trattando gli altri.
3. Diminuzione del senso di realizzazione personale: la persona prova un profondo senso di fallimento ed un sentimento di delusione nei confronti del proprio lavoro.
“Pochi settori di quella che una volta era definita forza lavoro ad alto livello di qualificazione hanno visto le loro fortune crescere, librarsi e crollare come quello degli insegnanti.” (Neave, Cerych, 1986) Quest’affermazione del 1986, edita dal prestigioso “European Journal of Education” sembra aver anticipato un atteggiamento che in seguito sarebbe diventato ampiamente diffuso dapprima tra gli studiosi, e poi anche nell’opinione pubblica, e che si esprime nella convinzione secondo cui quella dell’insegnante è una “professione in crisi”.
Segni e sintomi
Gli effetti del burn-out sono in larga misura simili in tutte le categorie in cui esso si manifesta e quindi, una delle conseguenze più vistose, è sicuramente l’insorgenza di patologie psicosomatiche. Come per le cause, anche i sintomi possono essere raggruppati in 3 principali famiglie, a seconda che loro ripercussioni siano sulla vita dell’individuo, sulla sua famiglia o sull’ambiente lavorativo.
Sintomi personali
Sensazione di fallimento, Senso di stanchezza ed esaurimento tutto il giorno, notevole affaticamento dopo il lavoro, Preoccupazione per sé, Insonnia, irritabilità, oppure frequenti raffreddori ed influenze, Frequenti mal di testa e disturbi gastrointestinali, Eccessivo uso di farmaci, Rigidità di pensiero e resistenza al cambiamento.
Sintomi relazionali ed affettivi
Conflitti coniugali e familiari. Gli effetti e le conseguenze delle situazioni di stress si ripercuotono sulla famiglia e la vita extra lavorativa. Molti insegnanti, infatti, dopo una giornata particolarmente intensa, nel momento in cui tornano in famiglia preferiscono rimanere soli ed in silenzio, così come altri proiettano la tensione sui familiari più vicini. Questo desiderio di silenzio assoluto rappresenta il distacco dall’ambiente lavorativo caratterizzato da chiasso e rumore.
Sintomi psicosociali
Perdita di disponibilità e di sentimenti positivi verso gli utenti, Cinismo e disprezzo verso gli utenti, atteggiamento colpevolizzante verso di loro, Esitamento di discussioni sul lavoro con i colleghi, Alta resistenza ad andare al lavoro ogni giorno, alto assenteismo, Rabbia e risentimento verso i colleghi ed i destinatari del loro aiuto.
Prevenzione e correzione
E’ possibile contenere l’insorgere o le conseguenze del burn-out con:
1. L’informazione: che mira a far conoscere questo fenomeno ed ad offrire utili consigli per prevenirlo
2. Formazione: attraverso esperienze di gruppo o discussione di casi con l’obiettivo di creare strumenti per far fronte al fenomeno del burn-out
3. Interventi specifici: attraverso la strutturazione, in base alle esigenze organizzative, di programmi anti-stress studiati sulla mansione lavorativa e soprattutto attraverso l’equilibrio del carico lavorativo con una corretta pianificazione del lavoro.